Wednesday, July 15, 2009

braided

Nel tardo '400, il duca Galeazzo Maria Sforza, papà della favolosa Caterina Sforza e appassionato di musica, radunò a Milano uno straordinario gruppo di musicisti e cantori, strappandoli, con la promessa di lauti guadagni, alle migliori corti italiane ed europee. Per il castello sforzesco, roccaforte e regia, fece progettare dall'architetto toscano Benedetto Ferrini la Cappella Ducale con affreschi eseguiti nel 1473 da un gruppo di artisti tra cui Bonifacio Bembo, Jacopino Vismara e Stefano de' Fedeli. Venne realizzato un ambiente con le pareti dorate, mentre sulla volta è una più complessa decorazione, con la Resurrezione e l'Ascensione di Cristo. Galeazzo ebbe poco tempo per godersela. Meno di tre anni dopo, il giorno di santo Stefano, sulla soglia della chiesa di santo Stefano, venne pugnalato a morte da un gruppo di nobili. Aveva solo trentadue anni.


Durante varie occupazioni straniere, la raffinata cappella viene adibita a stalla, subisce gravi danni alle pareti e naturalmente anche agli affreschi, è stata ripristinata e restaurata agli inizi del Novecento. Ci sono altre opere in questa stanza, ma la protagonista assoluta è la Madonna del Coazzone.

Non è certo l'unica donna 'di spicco' nella galleria. Il busto detto la Mora, una signora riccioluta vestita in una sontuosa camicia, è la fiera occupatrice della stanza dove è situata la Rondanini Pietà, è più giovane e più bella.

Ci sono le donne del gonfalone. Inoltre, questo sarcofago trecentesco sfoggia l'immagine di quattro donne splendide, simboli della giustizia, la scienza, il potere e la religione. Le donne contano.
Conta la Maddonna del Coazzone. Opera di Pietro Antonio Solari (responsabile nel 1482 per i lavori alla Certosa di Parma), fu eseguita circa un decennio dopo il termine dei lavori nella Cappella Ducale. Solari, ticinese, in seguito fu chiamato alla corte dello zar Ivan II e muore a Mosca nella primavera del 1492.
Vista controluce, lei occupa la stanza ora come una regina, ora come una semplice supplicatrice. Prende la luce lombarda che entra dal cortile attraverso una finestra enorme e la rende serena, pura. La statua in marmo (destinata in origine per la Fabbrica del Duomo) rappresenta la Vergine come una dama quattrocentesca assorta in preghiera. Tipico del periodo l'acconciatura dei capelli, annodati nella lunga treccia, detta "coazzone" in dialetto lombardo. Nella sua stanza azzura, una delle ultime che si incontra durante la visita, la statua ci parla del passaggio del tempo e le sofferenze subite, ma con una dolcissima rassegnazione che solo le pietre possono esprimere. Le manca un braccio, ma le sue mani unite sono illese, come la fiducia in una preghiera esaudita.

Ho voluto disegnarla, a modo mio, nella cappella silenziosa, in una giornata di caldo intenso, ho voluto renderla sulla carta, ma non ho saputo catturare la gioventù del volto, la misteriosa tranquillità della sua casa, la leggerezza del suo sguardo contro il peso di quella treccia. Ma cia siamo tenute compagnia per un po' e per questo non la posso dimenticare...

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